Cara Briel,
il rapporto con mio padre è stato praticamente inesistente fino a cinque/sei anni fa, quando per lavoro si è trasferito nella città in cui vivo da tredici anni. Il suo arrivo l’ho vissuto da subito come un’intrusione(anche perché il primo anno abbiamo vissuto insieme), poi un po’ alla volta, anche grazie all’angoscia che stava emergendo, sono riuscito a stabilire un contatto con lui anche se inizialmente è stato di rimproveri e mancanze che gli rinfacciavo. Con gli anni le cose stanno andando meglio è lui sembra essere più vicino e disponibile al confronto, anche se è molto spaventato dagli stati d’animo che provo.
Sin da piccolo mia madre mi ha sempre rimandato che ero uguale a mio padre (sia fisicamente e soprattutto mentalmente), e che avevo tutti i suoi difetti: chiusura, testardaggine, mentalità maschilista, ecc. Io ho sempre cercato di allontanarmi da come mi dipingevano anche perché alcune caratteristiche di mio padre mi hanno fatto molto soffrire. In questi ultimi anni però mi sto rendendo conto che allontanandomi da lui mi sto allontanando dalla mia mascolinità, da quelle forze necessarie per andare avanti nella vita. So che devo accoglierlo con i suoi difetti per poterne vedere anche i pregi. Forse quello che mi fa più paura è di ritrovare in me alcune sue caratteristiche che non sono ben viste dalla mia compagna. Credo che un lavoro di separazione (paradossalmente) non si possa compiere in maniera totale se non si ha il coraggio di accogliere i propri genitori nella loro interezza. Cosa dicono le lame?
Grazie
Aladino